Il Castello di Netflix

Il Castello di Netflix

Un giorno prima del junket europeo è arrivata la notizia di nuovi numeri in crescita. Così l’Hollywood Reporter si è chiesto se non fosse il caso di definire ormai Netflix “the eighth big media conglomarate”:

Maybe it’s time to consider Netflix the eighth big media conglomerate, as shares of the streaming company soared 9 percent on Tuesday causing its market cap to swell to $146 billion, just $8 billion shy of both Disney and Comcast. Netflix’s newly minted market cap, in fact, makes it a far more valuable company than any of the other five conglomerates: Time Warner ($76 billion); 21st Century Fox ($70 billion); Sony ($64 billion); CBS ($20 billion); and Viacom ($13 billion).

Netflix ha cambiato le regole di cinema e tv, spesso giocando con quelle stesse regole. Ha reso ad esempio il binge-watching una pratica ovvia, che ha modificato la fruizione seriale. Con effetti non sempre benefici: la serialità è diventata un prodotto che si brucia e non si sedimenta, e la scrittura ha dovuto modificarsi, spesso perdendo proprio certe innovazioni della scansione per episodi. Ma di Netflix non si può non parlare, per la sua capacità di diffusione e persuasione, per serie come The Crown e Mindhunter, per la scossa che ha dato al settore obbligando tutti a fare i conti con il web, il vero grande piccolo reticolare schermo che ci unisce tutti.

Dunque Netflix è un gigante. E mostra i muscoli. Grazie anche anche a un evento in cui riunisce giornalisti da tutta Europa, quest’anno a Roma. Una giornata di incontri, panel, proiezioni che è una maratona per tutti. Siamo a Villa Miani, e si si vede tutta Roma. La Grande Bellezza dello streaming (sono banale, sì).

Tutti seduti nella grande sala, ecco un video in cui Alessandro Borghi spiega a Reed Hastings (co-fondatore e CEO di Netflix) come vestirsi per l’evento e cosa dire per presentarsi ai giornalisti:

-Prova con “Ciao Roma”, come Mick Jagger

-Ha funzionato per Mick Jagger, vediamo se funziona per Reed Hastings

Eccolo dunque Reed Hastings, rockstar dello streaming. Spiega l’evoluzione dall’audiovisivo, dal bianco e nero cinematografico fino al tablet notturno con accesso Netflix. Sottolineando non solo la crescita costante della sua creatura, ma anche l’importanza della sua diffusione in altri paesi (il che significa anche nuovi posti di lavoro). D’altra parte la crescita di Netflix di cui si è parlato viene proprio dai nuovi paesi conquistati più che dagli Stati Uniti. Ecco perché il contenuto oggi deve a maggior ragione essere prodotto in Europa.

Tra le novità che colpiscono:

1. Luna Nera, serie italiana sulla stregoneria, tutte donne come autrici, produzione Fandango (ovviamente mi viene in mente la zingara con Baudo, ma mi sa sono la sola #cretina in sala)

2. Una serie sul la nascita del gioco del calcio creata da Julian Fellowes

3. E poi la terza stagione de La Casa de Papel, prodotta però solo da Netflix. Niente Antenna3, la rete spagnola originale, che si vede soffiare così’ un brand non da poco.

Un caso particolare quello de La Casa de Papel. Una serie spagnola da rete generalista capace però di piacere in tutto il mondo, perché realizzata anche con una scrittura internazionale. Una serie da rete generalista, come molte altre su Netlix, perché non è una cable, punta ad avere un po’ tutte le nicchie e po’ tutto il mainstream. Una serie non di Netflix, ma comprata da Netflix, che l’ha diffusa con il suo brand e come “originale”: così i titoli emergono nell’archivio e si diffondono a livello mondiale. Una serie infine che in Italia sta scatenando in questi giorni il classico giochino della critica online e giornalistica, divisa tra #capolavoro e #merda. A proposito appunto di consumo frenetico, e di morte ormai della riflessione critica.

La serie è una bella novità nel panorama spagnolo, ed è un buon prodotto per essere una serie da generalista. Testo e contesto dovrebbero sempre andare insieme ma tant’è, ci perdiamo molti pezzi per strada ormai.

A proposito di contesto: Antenna 3 ha inventato Tale e quale, Chimica e Fisica, che tanto scatenò polemiche qualche anno fa su Rai4, Velvet, Il Segreto, che per Canale 5 è prodotto da prime time, e Cuore ribelle, sempre su Canale 5. Da un lato, tutto questo dimostra che la nostra tv generalista ha scartato la serie più “moderna” di Antenna 3: siamo ancora indietro. Dall’altro lato, chissà se ci sarebbe stato lo stesso rumore social e non se La casa de Papel fosse stata trasmessa sulla rete del Grande Fratello. Netflix nobilita, si sa.

Segue panel con un po’ di fighi, tra cui Borghi e il Professore de La casa de Papel, la cui visione conferma la regola che senza occhiali e senza giacche di merda simo tutti più belli.

Un panel che sottolinea la cosa più importante e evidente: in Europa si produce sempre più contenuto di genere, non solo commedie e polizieschi. Una spinta arrivata di sicuro dalla diffusione delle serie di qualità americana, ma incentivata ancor di più dalla necessità di vendersi internazionalmente, soprattutto a Netflix.

Comunque comincio ad aver fame, nonostante la colazione abbondante. E nonostante la seconda colazione proposta prima di entrare nella grande sala conferenze. Nelle sale della villa ci sono anche vari stand con il mostro di Lost in Space o i vestiti di Glow. O con una stampante 3D che scrive Netflix dentro un cubo stile Black Mirror.

Tocca a Todd Yellin, VP of Product: spiega come sia possibile rendere internazionali le storie grazie alla tecnologia. E’ l’intervento che più racconta la strategia del brand:

-La facilità di Netflix, visibile su qualsiasi device.

-L’idea di libreria virtuale.

-Diversi paesi che vedono tutto in contemporanea.

-Il doppiaggio ora in voga negli Stati Uniti e non solo (ehm una volta facevamo la battaglia per originale+sottotitoli, ma tant’è, la verità è ora la possibilità di scelte multiple).

-L’algoritmo che mi dice quel che mi piacerà nel futuro a seconda di quel che mi piace ora. E per i bambini, suggerimenti che cambiano anche con l’età, per contenuti sempre adatti e sicuri. Bello, personalizzante, di aiuto – ma anche a suo modo limitante perché ci costringe, come in altri spazi web (ad es. i social) a vivere in una bolla di gusto nella quale la diversità di gusto fanno più fatica a emergere. E poi, se non avessi “per sbaglio” visto Twin Peaks da ragazzina per un algoritmo non so dove sarei adesso. Charlie Brooker, creatore di Black Mirror in collegamento skype, forse sa cosa intendo

Ted Sarandos chiude la mattinata, spiegando tutto quello che arriverà nei prossimi mesi, non solo per le serie. Anche qui i titoli sono tanti.

1. Per Ryan Murphy si parla di un prequel di Qualcuno volò sul nido del cuculo con protagonista l’infermiera dello show con Sarah Paulson

2. Può essere una sorpresa la nuova serie di Matt Groening, di cui si è visto un promo

3. Un film sul passaggio di potere tra i due papi

Netflix è un museo o un parco giochi nel quale ognuno trova l’esperienza che vuole, dice Sarandos. Non teme la Peak Tv, definizione in circolazione dal 2012 e diffusasi nel 2015 anche grazie alle affermazioni di John Landgraf, chief executive di Fx. C’è tanta, troppa tv: il sistema non regge, si dice. Ma secondo Sarandos, la definizione di peak tv è “un’idea di retroguardia”, adatta a un modo di pensare del passato: nell’era digitale il buffet è sì ricco, ma mangi quello che vuoi, in maniera personalizzata.

Buffet, parco giochi, museo. Io però non so riesco a vedere tutto, mi mettete ansia.

Finalmente si #mangia. A buffet, ovvio.

 

Nb Siamo andati avanti anche nel pomeriggio. Ma ne parliamo un’altra volta.